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Renzi e la rivoluzione
A Silicon Valley il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha evocato l'esigenza di un cambiamento, anche in "modo violento", pur di riuscire a conseguire gli obiettivi di ammodernamento dell'Italia, che si propone.
Karl Marx usava dire che la violenza era la leva della storia; ma non crediamo, sulla base di quanto detto e fatto finora, che a Renzi interessi una rivoluzione marxista. Se mai il premier insegue, speriamo, una rivoluzione liberal-democratica, di cui molti paesi occidentali (l'America permanentemente) hanno usufruito; mentre l'Italia ancora la auspica. Questo ritardo italiano, che concerne la classe politica, il peso dello Stato, il livello delle inefficienze si è sedimentato negli anni, raggiungendo un livello di incrostazioni inquietanti. Solo a mettere in discussione un vecchio ed obsoleto statuto dei lavoratori, è venuto giù il mondo.
Renzi incontrerà a Detroit Marchionne e visiterà i nuovi stabilimenti Fiat, avrà occasione di incontrare i sindacati di quell'azienda e potrà facilmente fare un paragone con quelli italiani. Gli salterà subito agli occhi la differenza, e quindi comprenderà, se ancora non l'avesse capito, il motivo per cui in America il mondo del lavoro ottiene facilmente risultati migliori dei nostri. Poi certo l'Italia non è un paese atlantico, è un paese mediterraneo, con la sua cultura, le sue tradizioni e la sua storia: anche per tutto questo è molto più difficile essere competitivi. Certamente continuiamo a pensare che non sarà mai possibile "americanizzare" il nostro Paese, ma siamo sempre più convinti che bisogna evitare che esso venga risucchiato dalla "cultura" del Maghreb, un rischio tuttora da non sottovalutare.
Una televisione pubblica nazionale che costi quanto la RAI in Italia , negli Usa non è mai esistita; eppure quel Paese dispone di un'informazione certamente migliore della nostra, ed anche forse più libera della nostra. E tutto ciò poi mentre il presidente Usa,Obama, guadagna meno del presidente della provincia di Trento e/o Bolzano. E’ anche questo, unitamente al costoso degrado dei servizi che oggi lo Stato italiano offre alla sua collettività, uno dei motivi del continuo incremento della nostra spesa pubblica. Quest'ultimo aspetto sarebbe un tema importante della "minacciata rivoluzione" del nostro premier. Ma l'obiettivo di realizzare una efficace gestione, e nel contempo una significativa riduzione della spesa pubblica potrebbe essere allanostra portata, se non ci limitassimo a sperare negli improbabili tagli (quelli che si sono sino ad ora realizzati sono stati essenzialmente i criminogeni tagli lineari) da conseguire attraverso la spending-review; ma incominciassimo a progettare un ruolo ed un'area di competenza dello Stato con dei "confini" ben più ristretti dell’ attuale costoso, inefficiente, anacronistico ed oppressivo perimetro di operatività. Ci chiediamo perché è possibile trasferire ai vari CAAF, studi professionali e strutture similari competenze nel campo fiscale ed in materia previdenziale; pur trattandosi di questioni di estrema delicatezza, quali ad esempio l'elaborazione e la definizione (con conseguente immediato rimborso) dei vari crediti d'imposta, o lo svolgimento di tutte le procedure per la definizione,e quindi della immediata liquidazione delle pensioni stesse, con i conseguenti effetti finanziari? Mentre non si è pensato di operare con analoghe metodologie anche in altri campi della pubblica amministrazione.
Pensiamo, solo per fare qualche esempio, a tutta la mole di laccioli burocratici - autorizzativi di competenza, dello Stato, di tutti gli enti locali, e di tutti la miriade di enti (inutili) che oggi incombono con le loro procedure ed i loro vincoli costosi; ma anche forse pretestuosi, perché permeati da una paleolitica cultura amministrativa. Si potrebbero trasferire tutte queste incombenze,senza penalizzare il rigoroso rispetto normativo come avviene per i CAFF,a strutture private con competenze professionali specifiche,e con definizione di responsabilità giuridiche. Da sola questa innovazione produrrebbe riduzioni di spesa, e nel contempo efficienza ed efficacia nella soddisfazione delle esigenze dei cittadini-utenti, dei soggetti economici, degli operatori in genere della nostra realtà economica, sociale e produttiva.
E perché poi non valutare l’opportunità di modificare l'attuale regolamentazione giuridica relativa agli amministratori pubblici ed ai bilanci degli enti locali, degli organismi di gestione della sanità sul territorio e di tutta la miriadi di organismi pubblici che svolgono attività di servizi, applicando le vigenti norme del codice civile che oggi disciplinano i soggetti giuridici privati in materia di responsabilità degli amministratori, e di falso in bilancio? Se ciò avvenisse, siamo sicuri che cambierebbero molte cose; certamente si assesterebbe un colpo efficace a tutti gli sprechi di denaro pubblico, a tutte le tentazioni di corruzione, al malcostume (oltre che al danno economico per le imprese) delle spese della pubblica amministrazione non onorate, o peggio ancora effettuate fuori bilancio. Conseguiremmo anche l'obiettivo di avere amministratori pubblici ben più attenti alle problematiche del bilancio di quanto non succeda ora.
Basta quindi avere un po' di determinazione e di idee chiare.
È probabile che il nostro premier, se decidesse di imboccare questa strada, non avrebbe il consenso di ben identificati segmenti del sistema politico – sindacale italiano; ma potrebbe trovare un sostegno ed un supporto politico in altri soggetti che di questa azione sono da tempo fortemente convinti: allora sì che si potrebbe pensare di realizzare anche in Italia la rivoluzione liberal-democratica.
Roma, 24 settembre 2014 |
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